L’istinto del segno e la musica del gesto* di Serena Cuoppolo

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“Colore e suono sono come due fiumi che nascono da un’unica montagna, ma che scorrono in condizioni del tutto diverse, in due regioni che nulla hanno di simile, cosicché nessun tratto dei due corsi può essere confrontato con l’altro”, scriveva Johann Wolfgang von Goethe1.
Alla circospezione del grande scrittore tedesco sulle corrispondenze tra musica e pittura il tempo ha risposto implicitamente con la sfida, a partire da quella lanciata da artisti come Vasilij Kandinskij, Paul Klee e Aleksandr Skrjabin – ciascuno a suo modo e nell’ambito specifico della propria disciplina2  –, fino alle contaminazioni percettive dell’arte multimediale. Gli stessi studi scientifici sulla sinestesia, portando alla luce l’oggettività e la concretezza della percezione multisensoriale e indagandone le basi neurologiche3, sembrano oggi legittimare il dialogo tra le varie forme d’arte, aprendo affascinanti inchieste e nuovi orizzonti euristici.
L’approccio sinestesico che connota Cosmo sonoro è, tuttavia, solo in parte un effetto dell’alchimia di espressioni artistiche e dell’evoluzione percettiva del nostro tempo: l’uso della tecnologia digitale è trasversale e discreto, limitato a una combinazione di sonoro e di immagini statiche che mantiene intatta la fruizione “classica” della pittura e della musica; l’approccio sinestesico, ossia la visione e l’ascolto sincronici dei dipinti e dei brani musicali, è solo una delle possibili vie di accesso a Cosmo sonoro; musica e pittura si sostanziano l’una nell’altra, ma sono fruibili anche individualmente. Le radici dell’esperienza sono inoltre, in primo luogo, biografiche. Nel caso di Luca Pugliese, è la vita stessa, scandita dall’intreccio e dalla mediazione degli universi paralleli delle varie discipline artistiche, a plasmare la concezione dell’arte.
L’evidenza di ciò si fa visibile e tangibile a chiunque s’imbatta nella bottega dell’artista, un luogo magico, dove dipinti, sculture, strumenti musicali e progetti di architettura si incontrano e si confrontano; coloratissima fucina con tracce e memorie di un vissuto assai denso, malgrado la giovane età di Pugliese. Nel fitto mosaico di dipinti e fotografie che punteggia le pareti, si staglia una singolare foto della seduta di laurea. Novembre 2000, facoltà di Architettura di Napoli: Luca Pugliese imbraccia la chitarra, assorto a tradurre in musica le tavole dipinte della sua tesi in Progettazione architettonica. “Suonare in quella occasione è stato un po’ come mettere la ciliegina sulla torta, perché dove c’è musica c’è sempre gioia, malgrado spesso la musica nasca dalla tristezza”, racconta l’artista. “Venivo da sette anni di studio intenso e difficile, e non trovavo modo più bello per completare quel ciclo. Ho eseguito un pezzo ispirato alla mia tesi, il progetto di una ‘casa-museo per artista’ in un luogo a me molto caro, perché non c’è architettura più perfetta di una buona musica. Con il tempo quel gesto ha assunto un valore più profondo. Infatti era, in qualche modo, un atto di forte ribellione, verso le prigioni accademiche e il rigido confine tra le discipline, sebbene all’epoca io abbia agito in maniera del tutto istintiva e spontanea”. E, in effetti, nella biografia artistica di Luca Pugliese, la seduta di laurea è il prologo di un percorso di ricerca scandito da una dirompente poliedricità. Già l’anno dopo, nel 2001, Luca Pugliese dà il via alla kermesse di musica e di arti visive “Terra Arte” e al progetto musicale “Fluido Ligneo” che segna, per lui, l’inizio di una carriera parallela da cantautore. Così, ondeggiando tra una sponda e l’altra dell’arte, egli scorge pian piano la meta di un denominatore comune, un luogo virtuale dove il suono diventa forma e la forma diventa suono, e “inventa”, con Cosmo sonoro, un metalinguaggio acustico-visivo che sembra soddisfare le rivendicazioni ontologiche del binomio pittura-musica. Non si limita a proporre una fruizione combinata delle due arti, ma eleva il rapporto tra segni sonori e segni grafici a soggetto stesso della ricerca artistica.
Quando gli chiedo com’è nato Cosmo sonoro, mi risponde con un fulmineo guizzo della mano accompagnato da un sibilo, poi mi parla della sua scoperta del nero, assenza momentanea di luce e di suono. Facendomi interprete delle sue suggestioni, mi piace figurare l’inizio di questa sua esperienza come un impavido tuffo nel Lete, chiave di accesso a una tabula rasa fatta di nero, di vuoto, di silenzio assoluto. In quel vuoto e in quel silenzio ondeggia una mano; sembra quella di un direttore di orchestra, ma la sua terminazione è un pennello che, inseguendo energie e vibrazioni sonore simulate dal suo stesso moto sinuoso, le cattura e le imprime su un piano, materializzandole e trascrivendole in forme archetipe, in segni sinusoidali e spirali. Il tracciato acustico-visivo di Cosmo sonoro si può infatti scomporre in “segni” che ricalcano la pura gestualità di un fare pittorico e di un fare musicale codificati in forme sonore e visive. Questa esperienza coincide con l’acme di una stagione pittorica che rifiuta ogni sorta di progettualità ed estrapola immagini e temi dalla casualità istintiva del gesto stesso (Infinito sciolto I, Infinito sciolto II). Le tele onomatopeiche che preludono al progetto audiovisivo (Boom,GlissatoSuono potenziale) incarnano anch’esse la pittura nel suo farsi, quasi a riflettere in sé la nozione di arte come concretizzazione formale del gesto nel senso indicato dall’estetica di Henri Focillon4.
Viene da pensare, quanto alla genesi di Cosmo sonoro e al suo groviglio dinamico di linee e di suoni, al commento di Kandinskij sul Lohengrin di Richard Wagner: “Vidi nella mia mente tutti i miei colori, erano davanti ai miei occhi. Linee tumultuose, quasi folli, si disegnavano dinanzi a me”5. Eppure, nozioni tecnico-musicali, frequenti nella produzione pittorica di Klee e di Kandinskij, sono solo tiepidamente accennate, né vi è alcuna relazione tra nota e colore (oggetto di riflessione sia in Kandinskij sia in Skrjabin). L’esperienza di Luca Pugliese, come egli stesso tiene a precisare, mette in scena un dialogo tra suoni, forme, colori, tra segni sonori e visivi, più che tra musica e pittura. La musica, rigorosamente amelodica, si compone di suoni grezzi, rumori, silenzi, e si fonda su legami sintattici desueti. “Le creazioni acustiche di questo progetto sono atti sonori irripetibili e congelati nel digitale, sono prive di partiture, come si addice alla mia natura di musicista di professione. La realizzazione di brani digitali, quasi paradossalmente, nasce da una pratica estremamente artigianale della musica, che per me è libera e incondizionata ricerca sulle possibilità espressive di uno strumento. Questo suono nasconde una ricerca e un approccio fortemente empirici. Frequenze metalliche per esempio, è il tracciato visivo e la trasposizione sonora digitale delle linee disordinate che vedo formarsi davanti ai miei occhi quando le mie mani mettono in vibrazione le corde della chitarra, ma è anche l’‘eco’ dei cavi sparsi sul pavimento di uno studio di registrazione. Attualmente mi piace pensare al sonoro del mio progetto come una forte esperienza sensoriale; forse un giorno arriverò anche a concepirlo come musica vera e propria, una musica che rompe gli schemi a essa normalmente assegnati, che cammina aritmicamente, servendosi di forme, colori, luci da cui trae concretezza visiva”, dichiara l’artista.
E difatti gli elementi di questo universo pittorico appaiono come la trasposizione grafica di suoni che percorrono uno spazio al di fuori e prima della scoperta del tempo e della matematica, il sonoro evade il tempo ritmico, condizione implicita alla nozione di musica stessa, restringendo il tempo alla sola nozione di durata. Ma è proprio prescindendo dalla teoria musicale e ispirandosi alla dinamica intrinseca dei segni grafici e alla loro asimmetrica ripetitività, che Luca Pugliese giunge a creare un prodotto musicale compiuto e contemporaneo.
“Spesso si pensa che per dipingere è sufficiente possedere pennelli e colori, e che per far musica occorre invece saper suonare tecnicamente uno strumento. Con Cosmo sonoro ho esplorato intenzionalmente la possibilità e la necessità di violare questo pregiudizio”, precisa l’artista. È evidente che l’insieme delle soluzioni artistiche e formali converge in una precisa direzione, valorizzare le potenzialità antropologiche dell’arte. La stessa resa visuale del sonoro rispecchia, in effetti, l’esigenza spontanea di rappresentazione simbolica connaturata alla musica e la necessità di qualificare sinestesicamente aspetti acustici inesprimibili attraverso uno specifico linguaggio verbale – un linguaggio che già Aristotele (De anima) prese in prestito da altri campi.
L’apporto del progetto non si esaurisce però nell’istanza antropologica. “Pittura e musica sono figlie dello stesso attimo fuggente, ma la pittura fonde gesti, tempo, colori per immortalarli in un attimo, la musica, una volta creata, sembra narrare il processo creativo della pittura stessa”. Queste affermazioni rivelano l’attualità di una concezione estetica che dimostra di aver definitivamente superato la dicotomia tra pittura e musica fondata sull’antitesi tra spazialità e temporalità, reinterpretando, peraltro, istanze innovatrici proprie dell’arte del XX secolo.
Quella che Luca Pugliese crea, è essenzialmente una musica visiva. “Ho cercato di narrare la concretezza visiva del suono, la sua dimensione materica”, dice l’artista.
Difatti, nel loro zampillio, nel loro rincorrersi, cozzare, avvicendarsi e dissolversi, i suoni echeggiano la matericità delle forme, disponendosi su un piano spaziale fatto di vuoti e di pieni, di vicino e di lontano, di spessore, di distanza. Suoni vibranti o roboanti, riverberati o interrotti, acuti o gravi, alti o bassi, tremuli o continui, morbidi o duri, cupi o scintillanti, suoni circolari, sinuosi, doppi o sottili, ciclici o zigzaganti, sibili, boati, ronzii... Il ricco repertorio di variazioni qualitative e timbriche del suono echeggia quello del tracciato visivo, l’andamento delle forme e il loro dispiegarsi nello spazio, il distendersi e l’accorciarsi di un segno acustico in una forma in movimento. Il suono, entità impalpabile, rende tangibile e concreto l’universo virtuale ritratto da Luca Pugliese, amplifica la tridimensionalità e la profondità dell’immagine, dà risalto all’energia e alla fluidità del segno grafico. Sul piano specifico della figurazione, alla sola fruizione ottica ogni dipinto si presenta come sintesi simultanea di diversi fotogrammi spazio-temporali; le linee sinuose che fluttuano nello spazio adimensionale, ma profondo, della tela o inondano di vibrazioni i paesaggi, come la musica, sembrano sfuggire alla forza di gravità; un dinamismo, una musicalità intrinseca pervade l’intero universo rappresentativo: fasce di colore che si moltiplicano a raggiera, segni bidimensionali irruenti e fugaci, vorticose linee tridimensionali che trascinano il loro moto nello spazio, sfere che rimbalzano, sprazzi di colore. Interagendo con una figurazione tenuta insieme da una sintassi temporale, il sonoro mette in moto l’opera pittorica, la seziona e la snocciola negli invisibili stadi del suo compiersi. Infrangendo la simultaneità della fruizione ottica, invita a immaginare la formazione e l’evoluzione di una realtà virtuale ritratta nella sincronia del suo essere dinamico. “I miei dipinti non si offrono a un solo punto di vista, non sono un’unità percepibile simultaneamente in un disegno, ma una partecipazione di segni che si rivela nel mentre e in successione”, sentenzia l’artista.
Senza che ne sia per questo negata l’unità, l’immagine viene infatti percepita come combinazione di elementi che si intersecano nella dimensione spazio-temporale, come insieme di forme nella loro formazione. L’accostamento tra suoni e immagini non si realizza dunque per equazione, ma per analogia, per somiglianza, con il ripetitivo e incalzante duplicarsi e concatenarsi di pattern di suoni e di forme in molteplici direzioni e con diversa grandezza, intensità, durata. Musica e pittura sono, quindi, realtà complementari ma non totalmente isomorfiche, che delineano due diverse soluzioni artistiche per un analogo tema sinestesico.
Le tele, dipinte finanche sui bordi, rifiutano la cornice e, con essa, l’idea illusionistica che il soggetto sia interamente racchiuso nella superficie visiva. “I miei quadri”, dice Luca Pugliese, “non possono avere un inizio e una fine”. Spezzare le estremità dei segni grafici è infatti molto più che una semplice soluzione formale: equivale a proiettare l’immagine oltre i confini del visibile, ad aprire varchi in altre dimensioni, liberando l’aldilà latente che si cela oltre la superficie pittorica. Per comprendere la forza poietica del “non visto” e “non udito” basta guardare e ascoltare l’incipit del progetto. L’opera pittorico-musicale Cosmo sonoro sembra evocare, con il suo moto vibratorio, il passaggio dal Caos al Cosmo a partire da un Big Bang primordiale, e richiamare alla memoria il binomio tenebre-silenzio tipico dei racconti cosmogonici tradizionali. Non si tratta, però, di sola cosmogonia primordiale, ma di quella che può essere definita una “cosmogonia ciclica”: sul piano microcosmico, spiega Luca Pugliese, l’opera è assimilabile alla dissezione di un suono nella sua formazione, alla rappresentazione dell’armonia che si genera dall’ininterrotto moto di molteplici rumori liberi e asimmetrici, dalla somma di singole disarmoniche microrealtà sonore. “Cosmo sonoro” non è, dunque, solo il cosmo nella sua accezione di “universo”, ma anche il luogo virtuale della conversione del caos in un ordine pittorico-musicale, del caso in necessità.
Il binomio pittura-musica, intimamente omogeneo nella simultaneità di reale e di virtuale che lo caratterizza nelle sue diverse proposizioni, a voler tentare una classificazione, risulta oggettivarsi in svariate accezioni: concetti sonori e sonoro-visivi autoreferenziali (Il segno dei suoni/Il suono dei segni, Frequenze metalliche, Prospettiva laterale dei suoni) o anche significativi di proprietà immateriali, assolute e intrinseche dell’essere (Cosmo sonoro,Armonia cosmica, Espressioni sonore); aspetti della natura (Paesaggio sonoro, Il suono del volo, L’eco del sole, Tintinnio di stelle, Delfino); valenza architettonica (Traliccio sonoro) e connotazione emotiva del suono-immagine (Suoni ed emozioni).
È l’artista stesso a suggerire l’affinità fra il suo Traliccio sonoro e l’utopia architettonica della torre di Tatlin. In effetti, l’analogia supera di gran lunga il livello iconico. Del prototipo dell’artista sovietico Luca Pugliese sembra voler far propria l’idea di un reale e dinamico strutturarsi dell’opera d’arte in uno spazio, e la concretizza nella fruizione multisensoriale, con forme elicoidali svettanti messe in movimento da una babele di suoni che ne ricalcano il profilo. Quanto alla valenza emotiva del suono-immagine, le spirali di segni che si irradiano sul fondo nero del dipinto Suoni ed emozioni richiamano alle mente le onde concentriche prodotte da sassi lanciati nell’acqua, effetto esteriore della perturbazione di uno stato di quiete. È un’immagine archetipa dell’arte come emozione, come percezione di un accadimento che mette in moto e agita i sensi, rappresentazione figurata di una realtà emotiva che diviene tale proprio nella fugace temporalità dell’apparire e del dissolversi dei segni sonori. “A livello antropologico, suono e colore acquistano significati riconducibili all’uso che di essi fa l’animo umano. Trovandomi immerso in un mare nero, in totale assenza di armonia, ho potuto esplorare il mondo del suono e del colore nella loro dimensione assoluta, senza alcuna empatia o coinvolgimento emotivo. Ma, una volta creato, qualsiasi suono, qualsiasi segno, traccia altri suoni e altri segni nell’animo umano e, a differenza della musica, che passa inesorabilmente, le vibrazioni dell’anima lasciano impronte indelebili sull’arte, perché essa ne assorbe la valenza emotiva”. In effetti, siamo più che lontani, con Cosmo sonoro, da un’idea di arte come espressione di un mondo interiore soggettivo, ma anche di fronte a un connubio profondo tra arte ed emozione. Questo intero universo di sonorità cibernetiche, a tratti inumano e asetticamente distante, diventa vicino, caldo, familiare quando incontra il suo referente visivo, il rumore diventa musica, l’immagine riflette nel suono la sua anima.
A cavallo tra mistica dell’arte e divertissement, in definitiva, l’esperienza di Cosmo sonoro esplora le corrispondenze, il confronto, ma anche il gioco di un reciproco saccheggio tra musica e pittura. Ne è ben conscio l’artista stesso, rivendicando esplicitamente l’intenzione di “trasferire alla musica la libertà di una pittura erede delle avanguardie, dimodoché l’opera pittorica risulti più convenzionale rispetto all’opera musicale”. Benché pittura e musica si caratterizzino come entità geneticamente correlate ma pur sempre autonome, il confine tra le due arti tende a sfumare e ad annullarsi proprio nella figura di Luca Pugliese, nella sua identità poliedrica e composita di musicista-pittore. Ed è, forse, proprio in questa sostanziale ambiguità che risiedono il senso profondo e la verità artistica dell’intero progetto.

* Testo estratto da Luca Pugliese. Cosmo sonoro, a cura di Serena Cuoppolo e Fortunato D’Amico, Skira, Milano 2010, pp. 25- 35. 1 W. Goethe, La teoria dei colori (a cura di R. Troncon), Il Saggiatore, Milano 1993, p. 185. 2Il rapporto con il linguaggio musicale è la fondamentale via d’accesso, per Kandinskij, a un’arte astratta intesa come espressione dello spirituale, della risonanza interiore della realtà fenomenica e indipendente da contenuti descrittivi. La sintassi temporale delle opere di Kandinskij, giocata sul rapportovicinanza-lontananza prodotto da precise combinazioni cromatiche, trae anch’essa ispirazione dalla musica e molte opere dell’artista russo si ispirano a nozioni musicali. Delle relazioni tra le due arti Kandinskij ha ampiamente trattato nei suoi scritti. Si vedano in proposito, in traduzione italiana, V. Kandinskij, Dello spirituale nell’arte, De Donato, Bari 1968 (il cui capitolo Il linguaggio dei colori tratta il tema delle corrispondenze tra colori e timbri musicali); Idem, Punto, linea, superficie, Adelphi, Milano 1968; V. Kandinskij, F. Marc, Il cavaliere azzurro, SE, Milano 1988; gran parte dei testi kandinskijani sulla musica si trovano anche raccolti nel volume unico Scritti intorno alla musica (a cura di N. Pucci), La Nuova Italia, Firenze 1979. Si veda, inoltre, il carteggio tra il pittore e il musicista Arnold Schönberg: V. Kandinskij, A. Schönberg (a cura di J. Hahl-Koch), Musica e pittura. Lettere, testi, documenti, SE, Milano 2002. La ricerca e la sperimentazione kandinskijana di un’arte monumentale, comprensiva di musica, danza e pittura, e dunque sintesi pura delle varie forme artistiche, trovò la realizzazione più compiuta nella composizione scenica Der gelbe Klang (Il suono giallo) (V. Kandinskij, Il suono giallo e alter composizioni sceniche, Abscondita, Milano 2002), rappresentata solo nel 1975. Sul rapporto tra musica e pittura in Kandinskij, limitatamente alla bibliografia in lingua italiana (alla quale si rinvia per ulteriori approfondimenti bibliografici), si vedano M. Battistini, Riflessioni su Vasilij Kandinskij e la musica, in http://users.unimi.it/~gpiana/dm3/dm3kanmb.htm; E. Bugini, M.C. Rodeschini Galati, M.R. Diaferia, Kandinskij. La qualità musicale dei colori, Lubrina- LEB, Bergamo 2004; N. Misler, Per una liturgia dei sensi. Il concetto di sinestesia da Kandinskij a Florenskij, in “Rassegna Sovietica”, 2, 1986, pp. 37-44; L. Verdi, Kandinskij e la musica, in “Civiltà musicale”, 26, 1996, pp. 59-90. Quanto a P. Klee, che fu anche primo violino nell’orchestra di Berna, l’influenza della musica nella sua elaborazione pittorica, evidente dalla frequente scelta di titoli musicali o dall’uso pittorico di grafemi musicali, a un livello più profondo va ravvisato nella sintassi ritmica delle sue opere, strutturalmente intessute di combinazioni polifonico-spaziali. Sul rapporto tra musica e pittura nella produzione dell’artista svizzero, si vedano, per la bibliografia in lingua italiana, P. Bolpagni, Klee e la musica, in Paul Klee. Teatro magico, Mazzotta, Milano 2007; P. Boulez, Il paese fertile. Paul Klee e la musica (a cura di P. Thévenin), Leonardo, Milano 1989; M. Donà, Forma pittorica e forma musicale in Paul Klee, in Testimonianze, studi e ricerche in onore di M. Gatti (1892-1973), Bologna 1973; R. De Caro, L’alchimia del violinista. Interpretazione musicale e mediazione demiurgica nell’opera di Klee, in M. Pasquali(a cura di), Paul Klee. Figure e metamorfosi,Mazzotta, Milano 2000; D. Gamba, Fare pittorico ed essere musicale nell’opera di Paul Klee, inhttp://users.unimi.it/~gpiana/dm3/dm3kledg.htm.In A. Skrjabin, la ricerca sulle corrispondenze tra notee colori trovò applicazione nel Prometeo, attraversol’impiego di un apparecchio noto come clavierà lumière. Al rapporto tra l’opera di Kandinskije quella di Skrjabin è dedicato il volume di L. Verdi, Kandinskij e Skrjabin. Realtà e utopia nella Russia pre-rivoluzionaria, Akademos, Lucca 1996. 3 Mi riferisco in particolare, tra gli altri, agli studi di V.S. Ramachandran ed E.M. Hubbard (si veda, per esempio, Synaesthesia. A Window into Perception, Thought and Language, in “Journal of ConsciousnessStudies”, 8, 2001, pp. 3-34), a me gentilmentesegnalati dal dottor Filippo Bampi. 4Si veda H. Focillon, Elogio della mano, in Vita delle forme. Seguito da Elogio della mano, Einaudi, Torino 1990. 5 V. Kandinskij, Tutti gli scritti (a cura di P. Sers), vol. II, Feltrinelli, Milano 1989, p. 158.